Film: Mery per Sempre
Regia : Marco Risi
Data: 1989
Tale film è stato visionato e commentato in occasione di due progetti sulla prevenzione del bullismo nell’Istituto Agrario “A. Serpieri” di Avezzano, e nel Liceo Scientifico “M. Vitruvio P.” di Avezzano
Introduzione Film
Il professor Marco Terzi accetta il poco ambito incarico di docente al carcere minorile Rosaspina. Il primo impatto con gli allievi è particolarmente duro perché i ragazzi vedono in lui un’espressione del potere. Ognuno ha dietro di sé una storia amara: Natale, si trova li perché ha ucciso gli assassini del padre mafioso; Pietro, analfabeta, è uno scippatore che fin da piccolo conosce il carcere essendo figlio di una carcerata; Mery è un travestito che si prostituisce per denaro perché non può viversi una sessualità che nessuno gli ha mai riconosciuto e ora è in carcere per essersi difeso da un cliente, Claudio, è appena entrato dopo un tentato furto notturno, e poi Carmelo, Antonio, Matteo, e “King Kong”. Il film narra e denuncia la quotidianità di questi ragazzi che vivono in un ambiente ostile e
degradato dove alla violenza si risponde con altrettanta violenza, in un circolo vizioso senza vie d’uscita.
Commento
“Tuo fizi u lett, ti pulizziò i scarpe; finiscila! E dopo u letto un l’ave a fare solo a ttia l’ave a fare pure a mia! (Carmelo)”
Mery per sempre è il film delle sfide:
Tra il professore e gli allievi/carcerati, capeggiati da Natale. L’obiettivo del ragazzo è tenere salda la posizione di capogruppo forte e carismatico. Più di una volta sfiderà verbalmente il professore in accese discussioni provocatorie E il professore dal canto suo sfiderà il ragazzo, spingendosi fino alle sue origini, al trauma della vendetta paterna che lo spinge a conservare comportamenti di violenza, Natale sembra capirne l’intento, tanto che arriverà a tagliare la torta del suo compleanno con il coltello sequestrato ad altri carcerati che avevano l’intento di uccidere il professore. Natale è una vittima, un falso eroe. Tutto questo si evince nella sequenza che ritrae il giorno del suo 18° compleanno, quando ha la notizia, che la sera stessa dovrà trasferirsi al carcere dei grandi, qui, mostra visivamente quanto in realtà sia ancora piccolo, malgrado le centinaia di esperienze a cui è andato incontro.
Il film è anche la sfida tra l’insegnante e le istituzioni, istituzioni che spingono i ragazzi a non reinserirsi, a perdere anche quelle minime capacità emotive in loro possesso per potersi esprimere E infatti uno dei temi centrali è l’impossibilità di parlarsi. Le parole sono insufficienti. Contano solo i fatti, i gesti. L’insegnante tenta disperatamente di comunicare con i ragazzi ma questi rispondono con il mutismo. Egli può far capire a Mery la propria risposta negativa alla sua dichiarazione solo baciandolo e poi cacciandolo, mostrandogli cosi di essere un uomo coraggioso. Il suo “comizio” sulle origini della mafia è un atto coraggioso di sfida verso Natale e i seguaci per far capire loro che comportandosi cosi subiscono un destino che altri hanno deciso per loro. E anche con Pietro i discorsi non servono a nulla. Serve offrirgli un letto senza nemmeno chiedergli perché. Cosi come la scena in cui dopo la morte di Pietro, il professore va in carcere a mostrare il suo coraggio, rompendo uno spazio proibito a lui, per far capire a cosa vanno incontro se non escono da una certa mentalità criminale, con la quale i ragazzi sembrano cercare di riparare disperatamente e in modo disfunzionale una ferita del proprio passato.
L’insegnante Terzi si trova di fronte a regole di comportamento per lui incomprensibili, e che per i ragazzi costituiscono un codice non scritto, ma assolutamente inviolabile. Terzi trova giusto che Claudio denunci Carmelo, che lo voleva violentare, ma per gli altri ragazzi Claudio è una spia, un vigliacco che non ha saputo farsi rispettare. Ma è ancora più tragico che sia la vittima stessa ad accettare in tutto e per tutto il codice che l’opprime: quando Carmelo esce dall’Isolamento, Claudio decide di “farsi rispettare”, lo colpisce, e di fronte alle parole di Terzi che tenta di consolarlo dicendogli che non doveva preoccuparsi perché aveva fatto valere le sue difese, Claudio si rammarica solamente di non averlo ammazzato. E Pietro, nella cella di isolamento per aver tentato di violentare una psicologa, dice a Terzi: “I poliziotti che mi hanno picchiato facevano il loro mestiere. Al loro posto avrei fatto come loro”.
Il film è una parabola costruita su due tematiche solo in apparenza contrapposte: l’evoluzione psicologica dei personaggi, e l’assoluta impenetrabilitàtra di essi, tra il professore e i suoi allievi, tra il “dentro” e il “fuori” del Rosaspina, nonostante tale impermeabilità, a fatica sembrano aprirsi degli scenari di possibile contatto. Il carcere ha delle delimitazioni spaziali, zone proibite anche per l’insegnante,ma ben presto egli invade i territori altrui, creando scandalo fra i secondini e poi, ammirazione fra i detenuti. Uscire dagli spazi sembra comportare violenza come nell’episodio di Claudio e Carmelo, o morte, come per Pietro, che evade solo per farsi uccidere. La fine di Pietro, il duro che di fronte alla morte si scopre debole, ha la funzione di monito e insegnamento a chi rimane.
Il senso del film è tutto racchiuso in due sequenze splendide. La prima è quella in cui Terzi, esasperato dalla continua ripetizione della parola “minchia”, legge ai ragazzi il sonetto di Belli “Er padre de li santi” La scoperta che la “minchia” può avere tanti nomi, e che anche un professore può dire le parolacce, è decisiva per i ragazzi. Qui Terzi si pone al loro livello usando le proprie armi, quelle della cultura, espandendo le possibilità comunicative dei ragazzi. Cosi come nell’altra scena dove davanti alla masturbazione di Antonio il professore accettata la proposta di fare al posto della grammatica un tema sull’amore(“Tema: l’amore. Riflessioni, esperienze, sogni”). In questo senso, il vero finale del film non è tanto racchiuso nel simbolismo dell’albero che cresce nel cortile, quanto nelle risate sguaiate con cui i ragazzi rispondono al gesto (ancora una volta, non servono le parole) di Terzi che straccia la lettera di trasferimento. E “rider soprattutto è cosa umana”, si può vedere ciò nella scena in cui Antonio invita il figlio appena nato a ridere.
C’è una frase pronunciata da Pietro che decreta il contrasto tra i personaggi e che riassume il manifesto etico del film: “Quando uno nasce tondo, non può morire quadrato” dice poco prima dell’evasione che lo porterà alla morte. I ragazzi si sentono in balia del destino, ciò li induce a mollare la lotta contro il proprio passato per conquistarsi un futuro migliore. L’unico a lottare ancora per loro èl’insegnante.
Occorre segnalare una battuta che sopravvive al film. La pronuncia il giovane transessuale, figura di raccordo tra il professore e i ragazzi, nonché depositario della morale dell’esclusione. Egli dice: “Io non sono né carne né pesce, io sono Mery, Mery per sempre”. Con questa frase il regista Risi esprime al meglio l’ambiguità di fondo del suo racconto.
Piccolo particolare scenico, il regista, mette in scena il racconto con esterni senza sole, con un cielo sempre grigio e annuvolato, per esprimere il pessimismo di una storia priva di luce.
Il film finisce con Terzi che decide di rimanere e la visione di un albero nel cortile: c’è ancora speranza per la vita, per una crescita. E finalmente si vedono i raggi del sole. Segno di speranza dopo tanta violenza e amarezza.
Il film ha un seguito, Ragazzi Fuori, che narra le vicende dei vari personaggi una volta usciti dal carcere. Tutti gli attori eccetto Claudio Amendola (Pietro) e Michele Placido (Insegnante Terzi) sono alla loro prima esperienza, sono giovani selezionati tra le strade di Palermo proveniente da condizioni di vita molto precarie.
Dott. Pendenza Giovanni Psicologo Avezzano